La Comunicazione obbligatoria per la pesca ricreativa in mare festeggia nove anni di vita e di assoluta inutilità e tutto lascia prevedere che potremo festeggiare le due cifre del decennale. Ormai parlarne è diventato ripetizione di argomenti che le sedi amministrative conoscono bene e dei quali possono tranquillamente disinteressarsi. Nel dicembre 2018 il Ministero ha provveduto con inusuale tempestività ad emettere un decreto di proroga a tutto il 2019. Di sicuro avremo un proroga anche per il 2020 nonostante a inizio gennaio non se ne sappia ancora niente. Non c’è certo da preoccuparsi visto che negli anni scorsi ci sono stati lunghi periodi di incertezza e che l’obbligatorietà della Comunicazione è più formale che sostanziale e che lo stesso Ministero ha a suo tempo provveduto a precisare che nei periodi di vacanza normativa non sono previste sanzioni. Se l’unica cosa interessante della Comunicazione era la previsione di raccolta dati come base per una serie di ricerche scientifiche funzionali alle politiche di gestione, ormai tutti sanno che i dati raccolti con il sistema di registrazione ministeriale sono inattendibili e utili solo a poter citare dei numeri da una fonte istituzionale. Quello della proroga di validità della Comunicazione obbligatoria per la pesca ricreativa in mare è il caso di maggiore attualità a inizio 2020 e possiamo considerarlo emblematico del fatto che tutta la materia della pesca ricreativa sia in mare che in acque interne è e resta in pieno stallo. Le poche iniziative sia istituzionali che associative sono sempre marginali rispetto al cuore dei problemi. Si guarda al lento e faticoso sviluppo degli indirizzi europei e ci si chiede quale novità nel panorama del comparto potrebbe riuscire a smuovere le istituzioni nazionali visto che tutte le rappresentanze del settore ricreativo non riescono a raggiungere il carico utile per farlo. La scarsità di notizie forse tranquillizza la pancia del settore ricreativo, che naturalmente teme di perdere ancora spazi in un contesto già in grave crisi, ma dovrebbe anche preoccuparla, dal momento che la situazione di crisi attuale non è affatto statica ma continua inesorabilmente a peggiorare per la persistenza delle stesse cause che l’hanno fino ad oggi alimentata. Certamente la cultura della pesca ricreativa sta evolvendo positivamente con i cambi generazionali, ma ciò non toglie che tutti i maggiori elementi problematici restino al loro posto, talvolta allargandosi. È il caso dell’emergenza bracconaggio, unica che è riuscita a mobilitare il settore e le istituzioni sui contesti di maggiore spicco, quelli dove la pesca illegale è davvero arrivata al livello delle organizzazioni malavitose. Non altrettanto per il fenomeno diffuso che ci restituisce una chiara immagine di quanto la crisi del settore sia dovuta non solo alle cause esterne, ma anche e soprattutto a quelle interne, di cui peraltro mancano riscontri misurabili. Lo si vede chiaramente pensando a quale sia mediamente il livello di rispetto dei regolamenti più semplici e significativi, primo tra tutti quello del limite di carniere. E tutti sanno quanto per la pesca in mare sia diffusa la pratica di commercio illegale delle catture ricreative, tanto quelle del «quando capita», quanto quelle di chi semplicemente pesca per commercio senza avere una licenza di pesca commerciale e ovviamente al nero. La peggiore sconfitta per il settore in questa situazione sarebbe aspettare passivamente che siano i cambi generazionali a risolvere i problemi. Purtroppo capita di constatare come varie componenti del settore vadano oltre, rallentando e ostacolando attivamente l’evoluzione del settore per conservare pratiche, mercati e concezioni che sono pienamente integrati alle cause di crisi.
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