È ormai da tempo che si sente parlare della istituzione di una licenza di pesca a pagamento per la pesca ricreativa in mare e sembra che la questione continui a essere di attualità. Dopo le varie versioni del Testo Unico per il settore ittico nella precedente legislatura, a fine ottobre la bozza della Legge di bilancio era tornata con decisione sull’argomento. La ricorrenza del tema non può che confermarci che prima o poi si passerà davvero a un regime di autorizzazione annuale alla pesca, condizionata alla comunicazione di dati e al pagamento di una tassa. Nelle varie proposte i dati tecnici sembra che tendano a stabilizzarsi, salvo rimandare le specifiche a successivi decreti attuativi. La maggiore novità dell’ultima versione rispetto alle precedenti, che avevano sollevato fortissime critiche, riguardava la destinazione dei fondi, con la scomparsa del riferimento diretto al sostegno alla pesca commerciale. I proventi si prevedevano infatti destinati a un apposito capitolo del bilancio dello Stato per essere riassegnati per l’80% allo stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e per il 20% al fondo da ripartire per le esigenze di funzionamento del Corpo delle Capitanerie di porto da destinare prioritariamente all’attività di controllo in materia di pesca. Dizioni abbastanza generiche, tali da non dare nessuna garanzia di ritorno a favore di chi contribuirebbe di tasca alla gestione, salvo appunto rimandare la questione a un successivo decreto attuativo. Forse non ci si sarebbe potuti aspettare maggiore definizione in un documento di programmazione finanziaria, ma è comunque significativo che questa proposta sia stata inserita non in una norma di gestione delle risorse ittiche, ma in un documento di finanza pubblica.
Il primo problema che si potrà presentare, in questa come nelle prevedibili prossime riproposizioni della licenza onerosa, è lo stesso che ci si porta dietro fin dalla ormai remota istituzione della Comunicazione obbligatoria per la pesca ricreativa in mare. Propagandata come prima fase di una ricerca scientifica sul settore ricreativo, la Comunicazione non ha infatti mai avuto nessuno sviluppo e sembra più che mai essere stata il temuto passo di avvicinamento a un regime di autorizzazione a pagamento motivato esclusivamente dai soldi ricavabili. Non meno importante e strettamente legato alla necessità di investimento per la ricerca è il rischio che possa accadere per il mare quello che è già accaduto in molte Regioni dove i proventi delle licenze per la pesca in acque interne, una volta destinati alla gestione delle risorse, sono stati fatti confluire nella contabilità generale e quindi distolti dal contributo alla gestione. Il tutto fatto salvo e sottolineato il fatto che il finanziamento pubblico del comparto dovrebbe riguardare anche la pesca ricreativa, visto se non altro il suo consistente contributo economico e il suo ancor più consistente potenziale di crescita. Forse basterebbe che nelle proposte normative fosse specificata un’impostazione di sostegno al settore ricreativo perché i pescatori assumano posizioni meno contrarie. Poi per sperare di far loro cambiare idea, occorre che l’imposizione e la sua applicazione producano risultati concreti, che alla fine altro non sono che quelli riscontrabili andando la domenica mattina a pesca nella spiaggia più vicina.
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