Sul mare gravitano molti interessi e la pesca non è neanche tra i maggiori. La cosiddetta economia blu cerca di integrare diversi ambiti di fruizione delle risorse del mare e nel suo sviluppo la pesca ricreativa resta ancora in una posizione fortemente marginale. Se la pianificazione di un approccio speciale, di un’economia blu appunto, serve a qualcosa, è evidentemente a causa di una forte concorrenza e di una tendenza al sovrasfruttamento di tutto l’ecosistema costiero. Per quanto riguarda la pesca, le risorse hanno una destinazione prioritaria alla filiera commerciale e tutte le argomentazioni, sia di principio che economiche, che riguardano la pesca ricreativa, sono di norma estromesse dai processi gestionali. Nel settore ricreativo, idee e proposte si accumulano e si disperdono: tanti particolari diversi per diverse specie ittiche, diverse modalità di pesca, diversi ambienti, diversi periodi, diversi attrezzi. Ricercando le iniziative attuali delle organizzazioni della pesca ricreativa italiane si ottiene un elenco di argomenti che mostra chiaramente la situazione. Tra quelli più in voga possiamo citare i porti, i barconi, i rifiuti, le gare, le riserve, il bracconaggio, tutti argomenti importanti e interessanti che comunque non toccano i problemi di gestione che li alimentano, tanto che qualche volta sembrano solo diversivi.
La radice del problema vero è la stessa sia nelle acque interne che in mare e riguarda la disponibilità di risorse, la pescosità delle acque. I pescatori vogliono il più possibile, ma la disponibilità è disastrosamente bassa e degradata. Tanto lo è che dove possibile si usano i corpi idrici per riversarci pesci quanto serve per mantenere la pescosità a livelli il più alti possibile. Nonostante ci sia chi arriva a proporre di fare lo stesso anche in mare, lì le cose sono più complicate, tanto che potrebbe volerci qualche idea semplice, che proponga un drastico cambio di impostazione. Una svolta che possa realizzare effettivamente il collegamento tra valorizzazione della pesca ricreativa e tutela delle aree di maggiore sensibilità per le specie ittiche costiere. L’idea non è nuova e opportunamente proposta è certamente adatta anche allo scandalo; riguarda la classificazione delle acque marine a contatto con la riva, che potrebbero essere definite come ‘acque di battigia’. Lungo la costa queste acque sono di fondamentale importanza per il ciclo di vita di molte specie ittiche: sono ambienti particolarmente esposti alle minacce antropiche e di più facile accessibilità per la fruizione delle risorse. Per andare subito al punto, le acque di battigia dovrebbero essere riservate alla pesca individuale per consumo personale, altrimenti detta pesca ricreativa.
Le definizioni autorevoli potranno essere certamente gli scienziati a darle ma, anche senza voler considerare la parte ambientale, viene facile capire il senso di questa impostazione assumendo come punto di riferimento la pesca effettuata dalla riva. In mare la legge dà precedenza alla pesca commerciale, stabilendo che i pescatori ricreativi devono rispettare una distanza dalle attività di pesca commerciale. Volendo considerare la riva luogo di esclusività della pesca ricreativa, basta che venga applicata la stessa regola di rispetto di una distanza minima. Idea certamente non risolutiva, che dovrebbe essere modulata a seconda del tipo di costa con una vera e propria zonazione, e che dovrebbe trovare accordo da parte delle Regioni, ma in questo modo sarebbe anche possibile rendere tutta la linea di costa nazionale una zona sottoposta a particolare tutela. Lo scenario della pesca da terra ha già in sé un elemento di contraddizione interna se si considera che non vi si applica la regola del rispetto della distanza dalle attività della pesca commerciale. Altrimenti la presenza di una rete da posta vicino alla riva dovrebbe automaticamente mettere i pescatori da terra in una situazione di infrazione al regolamento. Com’è che la regola della distanza di rispetto in questo caso non vale? Proprio questa situazione ci mostra che la risposta già c’è ed è appunto quella della battigia come luogo pubblico, come zona dove la precedenza nella fruizione delle risorse ittiche è per chi pesca dalla riva per consumo personale. Invece gli attrezzi commerciali ad oggi possono, a norma di regolamento, usare in via prioritaria anche questo spazio, semplicemente sovrapponendo attrezzi da pesca di alta efficacia a quelli ricreativi, che sono al contrario per propria natura relativamente poco efficaci. Non sarebbe logico che il diritto pubblico di fruizione delle risorse avesse almeno uno spazio esclusivo, non oggetto di concessione commerciale?
Bel ragionamento, che però ha un difetto capitale: resta tale, perché non si vede proprio chi potrebbe farlo diventare argomento politico. Le barricate sembrano ferme alle battaglie per le banchine dei porti e gli spazi di partecipazione delle sedi politiche sono filtri che dissipano facilmente, alla fonte o nel percorso, qualsiasi iniziativa non di facciata. La disponibilità di risorse nelle acque di battigia è il principale regolatore della partecipazione alle attività di pesca ricreativa. Le fluttuazioni di disponibilità di risorse in tali acque si riflettono direttamente e in modo amplificato in variazione di partecipazione dei pescatori e di risultati economici per il settore produttivo collegato. Il problema può essere risolto solo con un’adeguata gestione delle specie costiere di riferimento e una misura di gestione spaziale per le acque di battigia potrebbe esserne una parte essenziale. Sarebbe inevitabile che vi fossero collegate attività di monitoraggio e ricerche scientifiche che permetterebbero di avere finalmente dati autorevoli su cui basare una gestione equilibrata e produttiva. La gestione specifica delle acque di battigia innescherebbe altri due elementi. Il primo è quello della protezione di acque fondamentali per le forme giovanili di molte specie pregiate, il che non potrebbe che andare anche a vantaggio della pesca commerciale; il secondo è quello dei controlli, della loro pianificazione e della partecipazione delle associazioni dei pescatori sul campo.
Per quanto riguarda la pesca ricreativa, su quella dalla riva si basa una parte consistente del settore a livello nazionale nonostante il degrado evidente della pescosità e spesso anche della qualità ambientale dei contesti. Ne deriva che esiste un forte potenziale di crescita anche dal punto di vista economico. Se già oggi il risultato economico della pesca nelle acque di battigia è verosimilmente e nettamente a favore della fruizione ricreativa rispetto a quella commerciale, la liberazione del potenziale inibito dall’attuale modello di gestione produrrebbe una forte crescita dell’economia ricreativa. Scarsità di controlli e fruizione commerciale dissipano il potenziale in cambio di risultati economici in un caso illegali, nell’altro marginali. In sintesi, sarebbe l’economia di comparto a trarre un forte vantaggio da una gestione speciale per le acque di battigia, almeno dove si decidesse di considerare l’economia ricreativa come parte inseparabile del comparto
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