Per un paio di mesi tutta la pesca ricreativa è stata chiusa per la pandemia e per le conseguenti norme di distanziamento sociale. A ritmo crescente durante la chiusura è stato uno stillicidio di commenti su come la pesca fosse una delle attività più adatte al distanziamento, eventualmente con qualche regola di comportamento in più, ma le autorità hanno certo a lungo avuto da pensare a una serie di problemi di maggiore urgenza. Insieme a quelli delle associazioni dei pescatori, particolarmente significativo è stato il contributo di fine aprile da parte del gruppo OIG (Other Interest Group) del MEDAC, che comprende associazioni ambientaliste e pesca ricreativa, in una lettera inviata alla DGMARE della UE dove si legge che «Per quanto riguarda la pesca ricreativa, riteniamo che debba essere autorizzata nel rispetto delle misure di distanziamento sociale raccomandate dalle autorità sanitarie. La pesca ricreativa aiuta i suoi praticanti a restare fisicamente attivi e a migliorare la loro salute mentale, il che contribuisce a rafforzare il sistema immunitario. Allo stesso modo, consente la fornitura di pesce come cibo in un contesto di sovranità alimentare. Il danno economico che sta subendo il settore della pesca ricreativa (attrezzature, negozi specializzati, ecc.) è molto serio, e se la situazione attuale dovesse continuare, l’impatto potrebbe essere insostenibile per il settore». Dal lato delle associazioni c’è stato un boom della comunicazione, con i pescatori accalcati sui social avidi di novità e festival delle dirette online con dirigenti, amministratori ed esperti, capaci di dare una visibilità e un consenso certamente superiore a quello realizzabile nel pantano comune delle politiche della pesca. Addetti, va detto benemeriti, super impegnati nei vari corridoi del potere amministrativo, unico aggancio dei pescatori disperati e alla fine, di fronte al coprifuoco alieutico, le differenze sono sembrate dileguarsi, tutti sulla stessa barca e tutto assimilato. Uno dei decreti nazionali emessi a fine aprile aveva sul momento fatto pensare a una particolare contraddizione, permettendo le attività sportive o motorie e vietando quelle ricreative o ludiche. L’interpretazione immediata era stata che fosse concesso pescare, in pratica per allenamento, solo in campi gara con tesseramento agonistico. Poi si è trovato che lo stesso Ministero competente definisce tutta la pesca non commerciale come attività sportiva: sollievo ma anche un certo residuo di dubbi in mancanza di qualche riga chiarificatrice nei vari decreti che mettesse nero su bianco le condizioni per la pesca non commerciale. Storia di pochi giorni, ma che sono sembrati sempre più pesanti vista la lunghezza della chiusura già subita e la crescente isteria da astinenza. Sono poi iniziate le aperture in ordine sparso dalle prime Regioni, a fine aprile la Liguria, il Veneto e la Puglia, poi altre, ma con qualche eccezione di governatori inflessibili per qualche giorno aggiuntivo di calvario. Sono quindi state emesse ordinanze locali comunque limitative: dove nel solo comune o in mare solo dalla barca o solo senza la barca. Ordinanze come matrioske: nazionali con e senza le famose FAQ e poi regionali e comunali e relative interpretazioni delle Capitanerie di Porto. Nel momento in cui queste righe verranno lette, la situazione si sarà certo normalizzata per tutti e speriamo che non ci siano stati ritorni emergenziali. A inizio maggio, già da molto tempo costretti a non andare a pesca, tra l’altro in un momento dell’anno tra i migliori, si stava ancora immaginando come sarebbe andata la riapertura, se ci sarebbe stato un assalto in simultanea di tutti gli appassionati, che effetto avrebbe avuto sui pesci l’incredibile prolungata assenza dei pescatori, se si sarebbero trovati più pesci e pesci meno sospettosi. Speriamo che dopo la penitenza subita sia andata proprio così e speriamo anche che se un capitale è stato accantonato non ci si sia sbrigati a dissiparlo.
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