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Conflitti di pesca

Lo conferma un ordine del giorno del Consiglio consultivo del Mediterraneo MEDAC. Se ne parla sempre e forse potrebbe essere il momento di arrivare al sodo. Per farlo, certo, occorrono dati scientifici che è stato deciso di produrre e che forse potranno arrivare ad avere carichi di evidenza sufficienti a sottrarre il dibattito alla banale logica del potere politico. Le parole d’ordine sono interazione e conflitto. Tutto un programma. I soggetti sono la piccola pesca commerciale e la pesca ricreativa (ovvero tutta la pesca non legata a una licenza commerciale). Sembra evidente già solo per questa semplificazione un po’ rozza che esiste un problema di definizioni e di distinzione tra diversi ambiti di pesca; ad ogni modo entrambi gli schieramenti lamentano una situazione di interazione conflittuale. Per trattare seriamente l’argomento, si dovrebbe intanto precisare quali sono effettivamente gli ambiti interessati e tra questi quali indichino effettivamente una problematicità delle interazioni. È proprio quello che sta cercando di fare il MEDAC con il suo Gruppo di lavoro sulla pesca ricreativa. Il presupposto è che possono esserci contesti nei quali è palese che sia uno dei due soggetti a creare un problema per l’altro a causa di una sua modalità di fruizione delle risorse, ma ad oggi, di fatto, nelle sedi politiche domina l’idea che la pesca commerciale abbia una qualche prelazione sulla fruizione delle risorse ittiche perché sostiene in modo diretto e, appunto, politicamente molto ben rappresentato, posti di lavoro e reddito e perché rifornisce la filiera che ci porta i pesci al supermercato. 

Non altrettanto accade per la pesca ricreativa, della quale la ricerca scientifica sta faticosamente cercando di cominciare a valutare con maggiore accuratezza il peso economico oltre che sociale. Dove quindi si continua a considerare la pesca commerciale dotata di una prelazione sulla fruizione delle risorse, l’analisi sui conflitti con la pesca ricreativa sembra ideata esattamente per aumentare l’ingerenza di quella commerciale in tutti i contesti. Se vogliamo per un momento considerare solo la pesca ricreativa in mare da terra, che è forse la più popolare nel nostro paese, appare evidentissima la contraddizione. Tanto palese che per spiegarsela occorre rammentare che nella logica della pesca commerciale la pesca da terra è completamente insignificante. Al contrario, per la pesca ricreativa è molto importante e guarda caso proprio in questo contesto è palese che i conflitti non possono che derivare da un impatto eccessivo della pesca commerciale in un ambiente di alta sensibilità. Se per la pesca commerciale quello che fanno i pescatori ricreativi da terra è insignificante, certamente non possono esserci interazioni conflittali causate dalla pesca ricreativa. Tanto basterebbe, ma visto che invece non basta affatto, ci si aspetta che la scienza studi questo ambito di pesca per riscontrare quale sia la destinazione più utile, dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, del prelievo di risorse ittiche. A evidenziare il problema basta considerare come sia cosa nota che le stesse autorità di controllo sembrano tollerare la posa di reti davanti alle foci nonostante numerose segnalazioni anche formali e documentate. E ovviamente accade che, probabilmente per conservare un diritto di principio, il tema della distanza della pesca commerciale dalla riva resta ignorato e quello della distanza dalla congiungente dei punti foranei costantemente infranto. L’argomento è tutto fuorché nuovo ed è sempre restato tra le velleità trascurabili dei pescatori della domenica. Adesso qualcosa potrebbe cambiare perché ci si aspetta che la ricerca scientifica dia risposte che misurino in modo autorevole fenomeni ed interazioni.

Se proprio si vuole andare più a fondo serve però anche un altro fattore che ci chiama direttamente in causa, perché, esattamente come nel caso dei regolamenti per la pesca commerciale, le norme per la pesca ricreativa sono palesemente obsolete e riescono perciò a favorire determinate e circoscritte interazioni conflittuali. In particolare, sta diventando sempre più palese uno scontro che riguarda i punti di maggiore rilevanza del dibattito sulle misure tecniche per la pesca ricreativa. Uno scontro che per molta parte è causato dall’ingerenza della pesca commerciale, ma che per altro verso consiste in una difesa di principio dello status quo da parte della pesca ricreativa. Il prezzo pagato per stare sulla questione di principio è mescolare argomenti validi ad altri semplicemente pretestuosi.

Dal momento che il tema è quello dell’interazione conflittuale tra piccola pesca commerciale e pesca ricreativa, lo si affronta da questa prospettiva, che da sola ha però il difetto di non considerare le misure tecniche di per sé, ma solo in relazione agli interessi della pesca commerciale. L’esempio migliore è quello degli attrezzi passivi per i quali, anche dando per buono che non provochino nessuna sovrapposizione conflittuale, il problema che viene discusso da anni è tutt’altro, ovvero l’evidenza della impossibilità oggettiva di rispettare i limiti di cattura. E, forse a causa di questo problema strutturale, la loro difesa non prevede avvicinamenti per la revisione dei regolamenti. Se diminuendo il numero di ami il problema resta lo stesso, tanto vale difendere quelli attualmente consentiti. Ma il pescatore che si trovi a dover smaltire pesci morti che eccedono i limiti di legge cosa dovrebbe fare per non infrangere il regolamento? È per caso previsto? Per non farsi ‘beccare’ rigettarli in mare?

Lo sforzo politico per immaginare una riscrittura delle basi definitorie e dei conseguenti regolamenti, in risposta a un fenomeno concreto da gestire, sembra ad oggi restare nel dominio della fantascienza. Il dibattito sulle interazioni conflittuali si trova in questo caso a diventare strumentale a quello interno al settore ricreativo. In sede MEDAC la prevalenza della componente commerciale fa temere che possano prevalere le sottolineature su un ambito limitato di conflittualità attribuibili alla pesca ricreativa a scapito di uno molto più ampio, nel quale è evidente l’ingerenza della pesca commerciale in ambiti di pesca che dovrebbero essere riservati alla fruizione ricreativa. È quindi utile e inevitabile insistere sull’ambito di pesca più insignificante perché sappiamo che la pesca commerciale la considera tale e perché  da parte nostra ne conosciamo l’importanza. Forse le rappresentanze della pesca ricreativa invece che stare in difesa di spazi residuali potrebbero andare all’attacco in modo propositivo proprio a partire dalla pesca da terra. Il problema è che ci si scontra con il tabù della prelazione di principio in base alla quale la pesca ricreativa può pescare con determinate regole ma mai in modo esclusivo, raccogliendo le briciole sotto al tavolo della pesca commerciale; va detto che è effettivamente questo in generale ciò che sta accadendo. Il tabù, come da copione, è però qualcosa che sta lì per essere abbattuto, per cui la pesca insignificante potrebbe essere un buon inizio di un confronto serio. Fuori dai denti, saranno importanti e speriamo non penalizzanti le indicazioni del Gruppo di lavoro del MEDAC sulla pesca ricreativa, ma soprattutto i dati scientifici, sperando che considerino tutti i contesti. Esempio: speriamo che la scienza valuti la pesca ricreativa costiera, da terra, sulle specie più popolari, ma fino a che la piccola pesca commerciale resta esentata dal dichiarare lo sbarco di qualche decina di kg delle stesse specie pregiate siamo punto e a capo. Ma gli scienziati lo sanno e noi restiamo in trepidante attesa.

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