Nato il 29 aprile 1957 a Perugia, Marco Pippi si è occupato inizialmente del settore vendite, poi di marketing istituzionale con il Gruppo Grifo Agroalimentare, azienda di rilievo nella filiera lattiero-casearia ed agroalimentare dell’Umbria. In pensione dal 2019, è sempre stato sensibile alle tematiche riguardanti l’ambiente, soprattutto quello acquatico, conseguenza diretta del fatto di essere stato pescatore fin da bambino. Approdato alla pesca a mosca con il desiderio di scoprire nuove sensazioni e conoscenze, si è avvicinato con forza all’ambientalismo e da molti anni per Legambiente Umbria è attivamente impegnato nella gestione degli ecosistemi fluviali del fiume Nera, in particolare dei tratti no kill dei fiumi Nera e Corno.
Come nasce il tuo interesse per gli ambienti acquatici?
Sono nato e cresciuto a poche centinaia di metri dal Tevere e all’epoca era difficile sottrarsi dal richiamo della vita sul fiume; mio padre mi ha insegnato a pescare barbi e cavedani e il fiume rubava gran parte del mio tempo. Solo con il tempo maturi la passione e quella sensibilità che ti fa capire e comprendere la vita e i misteri del fiume; da principio ti avvicini all’acqua e la prima tua ambizione è di prendere pesci, dando poca importanza a tutto ciò che ti circonda. Poi la soddisfazione e l’importanza della cattura, sempre con il tempo, tendono ad appiattirsi, vai più in profondità per capire di più e ti accorgi dei particolari, della bellezza di quell’angolo di mondo, ma anche delle minacce cui è sottoposto. Fu così, grazie anche allo stimolo di un mio carissimo amico, che negli anni Ottanta mi sono avvicinato alla pesca con la mosca artificiale. Dal momento in cui ho iniziato a praticarla mi si è aperto un mondo nuovo, affascinante, e ho imparato ad osservare l’ambiente acquatico sotto un’altra prospettiva. La pesca a mosca insegna a rapportarti con la natura, è una disciplina che se interpretata sino in fondo imprime un vero e proprio stile di vita; solo allora riesci a leggere i messaggi del fiume. Nel 1993 mi iscrissi a Legambiente Umbria, associazione molto sensibile alle problematiche degli ambienti acquatici, con l’intento di fornire un contributo in termini di volontariato e per approfondire conoscenze sugli ecosistemi fluviali. In poco tempo divenni responsabile del settore acque di Legambiente Umbria in seguito alla stesura di un progetto sperimentale di pesca regolamentata in acque di categoria A (zona superiore della trota) su un tratto di 5,400 km di fiume Nera che venne presentato alla Provincia di Perugia. Iniziò una fase di crescita importante non solo per me ma anche per Legambiente grazie a quel progetto, che venne accolto dalle istituzioni e che ancora oggi ci vede attivamente impegnati sulla gestione di 70 km di corsi d’acqua facenti parte del bacino idrografico del Nera di competenza della regione Umbria.
Entriamo ora nel merito dell’ecosistema Nera. Pregi e difetti!
Tutto il percorso del Nera e dei suoi affluenti rientra nella rete di Natura 2000, un insieme di ZSC (Zone Speciali di Conservazione) e di ZPS (Zone di Protezione Speciale) riconosciuti dalla Commissione Europea in applicazione della direttiva Habitat 92/43 CEE e dalla Direttiva Uccelli 79/409/CEE. Si tratta di un ambiente naturalistico fra i più importanti del Centro Italia, che però non manca di criticità e di pressioni antropiche derivanti da attività anche intensive, come nel caso di allevamenti di troticoltura. Ce ne sono ben sette in circa trenta chilometri fra Nera e affluenti. In Umbria si producono circa 2.800 tonnellate all’anno di trote destinate al consumo umano (ndr. Perugia To Day - 14 agosto 2013). Preci e Norcia sono le località più produttive per questo tipo di attività, ma si incontrano impianti anche a Cerreto di Spoleto, a Vallo di Nera e a Sellano. Questi impianti intensivi di troticoltura sono dotati di sistemi strutturali per la decantazione dei sedimenti generati dalle attività produttive, ma il carico inquinante in termini di azoto, fosforo e altre sostanze è tale da causare un degrado della qualità ecologica delle acque. Nei tratti a valle di questi impianti, la classe di qualità delle acque rispetto a quelle in ingresso subisce una perdita sostanziale, con un declassamento dell’Indice Biotico Esteso (IBE) da livello di ‘Ambiente non alterato in modo sensibile/ Ambiente con lieve alterazione’ (1/2) a livello di ‘Ambiente alterato/Ambiente molto alterato’ (3/4). La quasi totalità delle acque interessate da questi impianti di troticoltura confluisce per derivazione nel Canale Medio Nera, opera idraulica realizzata negli anni Venti per scopi produttivi di energia elettrica, e sul lago di Piediluco; è proprio in questo bacino dove si immette anche il fiume Velino (corso d’acqua anch’esso interessato da allevamenti intensivi di troticoltura) che si evidenziano maggiormente alterazioni causate dal notevole apporto tutto l’anno di questi inquinanti. Negli anni sono stati molti gli studi e i progetti al vaglio degli organi istituzionali cui ricadono le competenze, ma ad oggi le problematiche non sono state risolte.
Che cosa era il Nera una volta e che cosa è oggi in termini di portate e di sottrazione d’acqua?
Una volta il Nera, prima dello sfruttamento energetico, era un fiume con portata considerevole, oggi con il Canale Medio Nera, opera idraulica sopra menzionata, in concessione oggi a Erg Hydro, viene derivata acqua attraverso numerose opere di presa sia dal Nera che dal Corno, pari circa 20 mc/sec. Il Canale inizia poco sopra Borgo Cerreto e dopo circa 42 km si immette nel lago di Piediluco, dove incontra il fiume Velino, secondo immissario, acque che vengono convogliate in un canale maestro per poi essere inviate nelle opere di presa dell’impianto di Galleto-Monte Sant’Angelo nei pressi di Papigno a Terni. Le restanti sono deviate sino a formare la famosa cascata delle Marmore. Ciò che rimane a valle di queste derivazioni sono quantitativi d’acqua stabiliti dalle concessioni, valori che però non sono rispondenti ai minimi deflussi vitali stabiliti dal PTA (Piano di Tutela Acque). In seguito a delle azioni che Legambiente ha portato avanti con fermezza tra le parti interessate, solo negli ultimi tre anni nella quasi totalità vengono rilasciati i quantitativi d’acqua previsti al mantenimento del minimo deflusso vitale (per il Nera circa 3,200 mc/sec nel tratto di Borgo Cerreto).
E l’estrazione delle acque minerali influisce sulla portata del Nera?
L’intero bacino idrografico del fiume Nera è caratterizzato da un territorio di natura calcarea per la presenza di rocce la cui origine marina risale all’Era Mesozoica e Cenozoica. Data la predominanza delle stratificazioni superficiali molto permeabili, la circolazione idrica sotterranea è molto diffusa nei rilievi che caratterizzano la maggior parte del bacino alimentato da sorgenti sotterranee durante buona parte del suo percorso. Pertanto, le aziende di acque minerali, sebbene attingano da pozzi in profondità, vanno sempre a sottrarre acqua al bacino del Nera.
E per la qualità delle acque come stanno le cose?
La qualità delle acque, nonostante le criticità esistenti sopra evidenziate, è buona con una funzionalità fluviale elevata. Il monitoraggio ambientale è sicuramente l’attività che Legambiente ha portato avanti con maggiore determinazione e continuità. Questo ci consente di tenere sotto controllo lo stato generale dell’ambiente acquatico e quindi di intervenire qualora si riscontrino delle alterazioni preoccupanti. Nel Nera la continuità biologica delle specie ittiche avviene regolarmente grazie alle particolari condizioni ambientali che favoriscono la riproduzione naturale delle specie ittiche, in particolare di benthos, alimento primario sulla catena trofica per i consumatori, rappresentati dalle trote.
I comuni di Cerreto di Soleto, Piedipaterno, Vallo di Nera Scheggino Ferentillo, hanno dei depuratori efficienti?
Hanno dei depuratori un po’ datati, la cui efficienza non sempre è garantita per la normalità, ovvero per quello che può essere il carico sostenibile prodotto dagli abitanti equivalenti residenziali. A volte le acque di scarico non sono del tutto rispondenti ai valori di emissione previsti dalle norme in materia vigenti, problematica che tende ad aumentare nel periodo estivo con i picchi del flusso turistico. Devo dire che i Comuni ci stanno lavorando. Legambiente ogni anno promuove una campagna di monitoraggio sugli scarichi civili che si chiama Goletta dei Laghi, grazie alla quale in Umbria monitoriamo anche molti corsi d’acqua, tra cui i fiumi della Valnerina. I risultati sono resi pubblici e sottoposti all’attenzione degli Enti locali e della Regione per sollecitare una pianificare degli interventi necessari. Da precisare che Legambiente, in caso di perpetrate violazioni di legge, procede anche con segnalazioni alle autorità competenti.
Il fiume Nera da cinque anni (2016) è oggetto di un progetto che mira alla reintroduzione della trota appenninica mediterranea (Salmo ghigii). Vorrei da te un giudizio spassionato del punto a cui siamo arrivati.
Mai come in questo momento si parla di biodiversità su scala globale e di quanto, purtroppo, anno dopo anno si registrino delle perdite considerevoli. La lista delle specie a rischio estinzione cresce continuamente. L’Italia, sebbene sia uno dei paesi con una più alta varietà di ecosistemi marini e terrestri d’Europa, registra per quanto riguarda i vertebrati una perdita di biodiversità del 50%. Per quanto riguarda i pesci, il 40% è seriamente minacciato (dati ISPRA). Questo spiega le misure che l’Europa ha previsto per arginare questo processo, che se non arrestato potrebbe arrecare alterazioni sull’ambiente naturale, che per ricaduta andrebbero a interessare gli equilibri su scala globale. Tra le cause che stanno mettendo a rischio la biodiversità, sicuramente l’introduzione di specie alloctone è la principale, insieme alle modificazioni che hanno interessato gli ambienti naturali per opera diretta e indiretta dell’uomo. Ritengo quindi che il progetto di reintroduzione della specie nativa del fiume Nera, Salmo ghigii, rappresenti un’imperdibile opportunità per una irrinunciabile riqualificazione ecologica e miglioramento del patrimonio ambientale. La direttiva Habitat 92/43 CEE detta regole precise che tutti gli stati membri avrebbero dovuto recepire nel breve e medio periodo. In Italia il DPR n. 357/1997 stabiliva il divieto di immissione sugli ambienti naturali di specie non appartenenti ai luoghi di origine. Purtroppo, a distanza di oltre vent’anni, la situazione anziché attenuarsi è andata peggiorando. Sui principali corsi d’acqua della Regione Umbria troviamo di tutto: specie ciprinicole provenienti da bacini idrografici dell’Est europeo e trote di origine atlantica nelle pregiate acque montane tutelate dalla direttiva Habitat. Quindi, ben venga il progetto di reintroduzione della specie nativa del Nera. Si tratta di un’azione necessaria per un ecosistema di grande valore ecologico e unico nel suo genere per le potenzialità in termini di biodiversità.
Quando iniziò la Regione Umbria ad operare in tal senso?
Le prime sperimentazione vennero condotte in provincia di Terni, fine anni Novanta, in un centro adibito allo scopo presso la località Terria. L’incarico venne affidato al ricercatore prof. Massimo Lorenzoni e alla dottoressa Antonella Carosi del Dipartimento di Chimica, Biologia e Biotecnologie dell’Università degli Studi di Perugia. In un primo momento vennero accertati degli esemplari con caratteristiche genetiche pure in un fosso affluente di sinistra del fiume Nera, fosso Monterivoso, quindi vennero selezionati dei riproduttori con genotipo purissimo e si iniziò a riprodurre le prime trote autoctone del Nera. All’epoca la ricerca non era avanzata come oggi e la letteratura scientifica forniva solo contenuti marginali. Il termine ‘trota mediterranea’ viene dato a una specie, che si è evoluta negli anni in vari endemismi territoriali, di trota che ha popolato il nostro Appennino, per differenziarla dalla trota atlantica che è originaria del Nord Europa. Ma all’interno della grande famiglia della trota mediterranea, ogni areale appenninico ha i suoi ‘ceppi’ provenienti in parte dall’area Adriatica e in parte da quella Tirrenica per interferenza di specie originarie della Francia. Per esempio nella regione Marche, sebbene si abbia la dominanza del ceppo adriatico, tuttavia sono stati accertati sei genotipi diversi; noi in Umbria siamo più fortunati perché ne abbiamo uno solo, che è la Salmo ghigii. Questo si spiega dal fato che nel lungo processo evolutivo la trota mediterranea ha sviluppato caratteristiche genotipiche diverse a seconda delle aree geografiche in cui si è trovata a vivere, dando vita a endemismi di specie in stretta correlazione alle caratteristiche ecologiche del luogo; nel bacino del Nera, che vanta caratteristiche fisico morfologiche costanti, non si sono verificate interferenze di sottospecie.
Come lavorava il centro di Terria?
Inizialmente il numero dei riproduttori presenti a Terria era molto basso, ma fu fatto un grande lavoro e appena ne ebbero un numero sufficiente cominciarono a immetterle nel Nera nel tratto in provincia di Terni. Si trattava di trote purissime che non avevano nulla a che fare con quelle che si erano immesse fino a quel momento allevate nel Centro ittiogenico di Borgo Cerreto di proprietà della provincia di Perugia, dove si allevavano per scopi di ripopolamento unicamente trote atlantiche; l’obiettivo di allora era quello di produrre pesci per rispondere alla domanda crescente della pesca ricreativa e soprattutto agonistica.
A quanto ammontavano i quantitativi dei ripopolamenti?
Parliamo dagli ottanta quintali e oltre di trote immessi nel periodo antecedente l’apertura della pesca alla trota che avveniva l’ultima domenica di febbraio. Un sistema palliativo, ma l’unico in grado di limitare la pesca illegale in periodo di divieto, come invece avveniva quando le immissioni venivano eseguite nei mesi autunnali subito dopo la chiusura della pesca sportiva. Questo sistema di gestione della fauna ittica praticato negli anni con trote atlantiche pronto pesca, specie di facile adattabilità e in grado di riprodursi anche con le trote native, inevitabilmente ha dato luogo a processi di ibridazione che progressivamente hanno ridotto la presenza sulla popolazione ittica delle specie native, tanto da mettere a rischio la continuità di specie. È per questo motivo che la Commissione Europea ha incluso anche la trota mediterranea nella lista delle specie maggiormente minacciate della direttiva Habitat.
Come mai per così tanti anni si è continuato a immettere trote atlantiche se c’era una direttiva europea che lo impediva?
Possiamo dire che la pubblica amministrazione ha voluto prendere tempo, disattendendo le disposizioni comunitarie e la norma di recepimento n 357/1997 che vietava immissioni di specie alloctone negli ambienti naturali e nelle aree protette tutelate dalla Direttiva Habitat 92/43/ CEE. La gestione degli ambienti acquatici, e quindi della fauna ittica e della pesca sportiva, non è stata mai condotta secondo una programmazione di medio e lungo periodo, preferendo alla conservazione e alla valorizzazione delle risorse naturali una politica accondiscendente alle esigenze della pesca sportiva. Era molto più semplice e vantaggioso ‘politicamente’ il metodo delle immissioni pronto pesca con materiale ittico di propria produzione, come nel caso della trota atlantica, di facile allevamento e adattabilità, ma soprattutto di facile pescosità. Un sistema che non ha per nulla valorizzato il settore specifico, ma al contrario ha trasformato un’attività che dovrebbe armonizzarsi con la natura – la pesca a mosca no kill - in una molto disinvolta, incurante degli aspetti ecologici e fortemente influenzata da interessi commerciali, distanti dal principio che le risorse naturali sono rinnovabili ma non inesauribili. Oggi la Comunità Europea ha fatto suonare diversi campanelli d’allarme: le norme devono essere rispettate perché lo stato delle popolazioni ittiofauistiche, a cominciare dalla trota mediterranea, così come quello di tante altre specie animali e vegetali, è seriamente compromesso in termini di biodiversità e se non si adottano misure di conservazione, rischiano di estinguersi.
E l’allevamento oggi regionale di Borgo Cerreto?
È già stata avviata una riconversione nel 2016 per produrre esclusivamente trote native del Nera. Anche altre regioni hanno avviato interventi grazie a finanziamenti stanziati da fondi europei su progetti Life, come nel caso del ‘Life Streams’, che interessa nove aree parco italiane, dove però la regione Umbria è coinvolta solo marginalmente con il Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Mentre con il progetto ‘Life Imagine’, il progetto Life integrato della durata di 7 anni (2020-2027), la regione Umbria è impegnata nel sostenere lo sviluppo di una strategia integrata, unificata, coordinata e partecipativa di gestione della rete Natura 2000. Le attività svolte nell’ambito del progetto avranno un ruolo rilevante per la conservazione e il mantenimento delle zone umide e degli habitat agricoli e forestali nel territorio regionale, e consentiranno la realizzazione di un'ampia gamma di interventi concreti per aumentare la connettività degli ambienti acquatici e terrestri, creando corridoi ecologici che le diverse specie target terrestri e acquatiche potranno utilizzare. Il progetto prevede interventi di riqualificazione del Centro ittiogenico di Borgo Cerreto e il recupero della trota nativa del Nera Salmo ghigii.
E le società sportive come hanno reagito?
Non potendo più immettere pesci alloctoni, tutto il settore dell’agonismo avrebbe fatto registrare notevoli perdite, tecniche ed economiche. Rimanendo sul tema trota mediterranea, va spiegato che la pesca agonistica non si caratterizza solamente sul settore trota torrente, ma soprattutto con altre specialità che interessano le acque ciprinicole come laghi e le restanti acque non classificate a salmonidi dove negli anni, per scopi agonistici pronto pesca, sono stati ripopolati con specie alloctone tipo abramidi, carassi, pighi, gardon, pseudo rasbora, black bass ecc., tutte specie di facile adattabilità ambientale e molto rispondenti alle esigenze tecniche della pesca agonistica. Nel 2020 alcune società si sono adoperate per la promulgazione del decreto n. 120 che ha introdotto la possibilità di deroga con immissioni di specie alloctone al DPR 357/1997, un palliativo normativo che però si sta dimostrando molto rigido e stringente, diversamente da quello che invece era stato annunciato dai diretti interessati come soluzione alle disposizioni comunitarie.
Tu vedi di buon occhio le gare di pesca?
Nel merito è bene fare una corretta distinzione. Il mondo della pesca, ormai da tempo, si differenzia in due settori contraddistinti: ‘pesca ricreativa’ e ‘pesca sportiva’. La prima è la pesca hobbistica che nell’immaginario sociale ci è stata tramandata di generazione in generazione quale modo di vivere in perfetta armonia con la natura, un tempo fonte anche di sostentamento alimentare, oggi disattesa, che era in grado di trasmettere sensazioni, apprezzamenti per le bellezze naturali, emozioni che rimanevano impresse nei ricordi, un modo per trascorrere giornate spensierate lungo le rive di un fiume pescando i pesci veri, quelli originari, e seguendo i saggi insegnamenti degli anziani. La seconda è la pesca sportiva agonistica, riconosciuta come sport dal CONI, dove la competizione, l’antagonismo e gli interessi hanno prevalso su quella visione della pesca tramandata dai nostri nonni. Questo è il motore che alimenta prevalentemente il commercio della pesca e tutte le devianze che ne sono conseguite. La pesca fatta in un ambiente naturale, dove la possibilità di prendere pesci non era del tutto scontata, è stata soppiantata da una pratica sportiva fatta in luoghi artificiali, dei veri e propri impianti sportivi, eccellentemente attrezzati, dove è facile catturare numeri significativi di capi. Questi campi gara sono fortemente pubblicizzati per scopi commerciali e agonistici. Impianti così non possono che prevedere immissioni di specie ittiche pronto pesca adatte alle varie specialità tecniche di settore. Personalmente io mi riconosco con la prima.
Torniamo alla nostra trota mediterranea. Come si affronterà l’impossibilità di ripopolare con quella atlantica?
Oggi la Commissione Europea ha indicato delle regole precise e con il Decreto n. 120 del febbraio 2020 è previsto che l’autorizzazione di immissione di una specie o di popolazioni non autoctone va richiesta al Ministero della Transizione ecologica, corredata da uno studio del rischio. Attualmente l’unica regione in Italia che ha ottenuto la deroga a immettere trote è stata la Regione Marche. La procedura autorizzativa ha avuto un iter lungo oltre un anno e dispone modalità molto stringenti che riguardano solo le acque di scarso interesse, dove sarà possibile immettere modeste quantità di trote iridee femmina sterili che dovranno essere ripescate nel minor tempo possibile. L’obiettivo della Commissione Europea è quello di arrestare ogni azione che comporti perdite ulteriori di biodiversità, ma soprattutto impone che ogni stato membro si attivi per garantire e migliorare lo stato di conservazione di quelle specie ritenute minacciate dal rischio di estinzione, come la trota marmorata e la mediterranea. Quindi, sono assolutamente interdette immissioni in natura di specie aliene che potrebbero compromettere gli equilibri naturali di quelle autoctone (originarie del bacino di appartenenza) e soprattutto che potrebbero dare luogo a processi di ibridazione, così come avvenuto tra la trota atlantica e quella mediterranea.
Parliamo ora di gestione delle acque della Valnerina; riguardo al monitoraggio che Legambiente ha effettuato nel 2020 sui tratti no kill in collaborazione con il prof. Massimo Lorenzoni e la dott.ssa Antonella Carosi del Dipartimento di Chimica, Biologia e Biotecnologie dell’Università degli Studi di Perugia, la dimensione delle trote è risultata dell’80% al di sotto di 20 cm, cioè compresa nei primi due anni di vita, mentre tutte le altre classi di età sono pochissimo rappresentate. Come lo spieghi?
Legambiente Umbria ha gestito gli ecosistemi fluviali della Valnerina dal 1993, anno in cui venne presentato alla Provincia di Perugia il progetto sperimentale di pesca a regolamento specifico no kill, fino al 2013. Dopo sei anni, nel 2019, ha ripreso la gestione in seguito all’aggiudicazione di una manifestazione d’interesse pubblicata dalla regione Umbria per il periodo 2019-2021. Ne sei anni di assenza, purtroppo, un insieme di interferenze ha compromesso gli equilibri naturali dei tratti no kill sia sul fiume Nera che sul fiume Corno, disturbi cagionati sia da fenomeni naturali (il terremoto del 2016-2017 ha causato su tutto il sistema imbrifero del bacino del Nera un incremento delle emergenze idriche superficiali, con conseguente aumento delle portate superficiali), sia da fenomeni antropici come variazioni di portata idrica causati da interventi di manutenzione sulle opere di presa idrauliche, ristrutturazione di un ponte sul Nera a Borgo Cerreto che ha interessato anche l’alveo del fiume Nera causando a più riprese intorbidimento delle acque, gestione della fauna ittica e della pesca sportiva non del tutto rispondente alle caratterizzazioni ecologiche dei vari tratti di fiume. Tutto ciò ha causato un indebolimento della funzionalità fluviale, coinvolgendo le varie forme di vita, in particolare la fauna ittica e la fauna macrobentonica, riducendone le funzioni naturali di produzione e mantenimento. Gli equilibri di questi ambienti acquatici sono molto delicati e se compromessi, purtroppo, in breve tempo favoriscono processi di degrado su più livelli. Poiché i pescatori frequentatori dei tratti no kill lamentavano carenza di fauna ittica e di conseguenza delle catture, Legambiente Umbria per valutare l’effettivo stato della popolazione ittica ha deciso di effettuare un monitoraggio approfondito per verificare la funzionalità fluviale complessiva, ovvero qualità delle acque, minimi deflussi vitali, indice di abbondanza ittiofaunistico e del benthos. Questo monitoraggio, oltre che ad evidenziare la funzionalità effettiva dell’ecosistema fluviale, avrebbe anche consentito di stabilire le azioni gestionali da intraprendere per una corretta e naturale riqualificazione. Dai risultati ottenuti, tutte le stazioni indagate presentavano una distribuzione di trote per superficie più che nella norma, stesso risultato per la fauna macrobentonica. Quello che invece si evidenziava come dato anomalo era la prevalente presenza in percentuale di classi di età giovanili comprese tra uno e due anni rispetto alle classi di esemplari anziani, che invece erano presenti in percentuale minore, evidenziando un gap tra le due classi di età con la mancanza di trote dai tre ai cinque anni. Il fatto che sia le trote sia in egual misura le specie macrobentoniche non risultavano sufficientemente strutturate per classi di età era la dimostrazione che in effetti un insieme di fattori aveva interagito negativamente sullo stato ecologico dei tratti indagati, compromettendo gli equilibri biologici di riferimento dell’ambiente acquatico. Di contro, i risultati sulla qualità delle acque e sulla presenza ittiofaunistica nel loro complesso sono stati più che buoni, valutazione che lasciava ben sperare in una rapida ripresa verso condizioni di normale ed efficiente stabilità.
Quali furono le motivazioni dell’assenza per sei anni di Legambiente Umbria dalla gestione degli ecosistemi fluviali della Valnerina?
Dopo circa venti anni di gestione continuativa ad opera di Legambiente Umbria, che era riuscita a raggiungere e valorizzare gli obiettivi prefissati dal progetto iniziale per i tratti no kill del Nera, i rapporti istituzionali iniziarono a presentare alcune criticità, riferite sostanzialmente a posizioni divergenti riguardanti la politica sulla pesca e sull’ambiente acquatico non del tutto coerenti con gli obiettivi progettuali. Oltre a questo, si iniziava anche a percepire un crescente interesse da parte dei pescatori a mosca umbri, che miravano alla gestione diretta in forza del concetto che le acque e la pesca sportiva fosse giusto che venissero gestite direttamente dai pescatori e non da associazioni di altra natura. A fronte di questo, in seguito a pressioni che iniziarono a esercitarsi sulla politica, l’Amministrazione Provinciale di Perugia decise per un cambio di rotta, affidando la gestione per tre anni a una rappresentanza di pescatori a mosca facenti capo a un club locale. Non sono stati anni facili di gestione e i risultati tanto attesi dai pescatori non sono stati raggiunti. I tre anni successivi hanno visto l’affidamento della gestione da parte della Provincia di Perugia sempre ai pescatori a mosca umbri ma sotto l’egida di Arcipesca Fisa. Sono stati anni in cui, forse per inesperienza, forse in parte per emulare le altre realtà similari sorte in altre regioni Italiane, sono stati messi in secondo piano i criteri di salvaguardia e valorizzazione ambientale per la gestione della pesca e della fauna ittica sostenibili a favore di un modello interessato maggiormente al raggiungimento di numeri importanti di presenze, che poteva essere raggiunto solo con immissioni di trote adulte e anche di taglia notevole per mantenere il livello di pescosità elevato. Un po’ il modo di gestione che ormai da tempo caratterizza la pesca sportiva in generale secondo il principio ‘sbrigative soluzioni per ritorni immediati’, piuttosto che seguire una programmazione capace di misurasi con gli ambienti naturali e contestualmente che facesse evolvere la cultura della pesca.
Vuoi dire che in quegli anni siamo quindi scivolati verso una pesca facile per scopi commerciali?
La pesca con la mosca artificiale, la tecnica maggiormente adottata nei tratti no kill in ambienti acquatici popolati da trote, quella vera che ci è stata tramandata di generazione in generazione, ritengo più che una tecnica rappresenti una dottrina dove in primo piano si pone il rispetto per la natura e soprattutto per i suoi intrinsechi equilibri. Una tecnica affascinante che insegna a comprendere e ad ascoltare i messaggi del fiume, a conoscere tutte le sue dinamiche biotiche e abiotiche, che per essere esercitata richiede necessariamente prima una fase di apprendimento e conoscenza. La vera pesca a mosca non dà importanza alla cattura in termini numerici o immagini digitali da esibire come trofei sui social network in voga sulla modernizzazione della comunicazione, ma al contrario a come e dove avviene la cattura, dando più valore alla bellezza del luogo e alle sensazioni che da esse si riflettono. Spesso, oggi, in ambienti di pesca a mosca molto attenti a questi particolari, si sostiene che il pescatore è un ospite sul fiume e quindi è un suo dovere prestare il massimo rispetto a tutto ciò che lo circonda. Si tratta dell’approccio ideale di chi – ancora di pochi – tenta consapevolmente e in modo audace di prendere distanze dagli stili di pesca oltremodo standardizzati e omologati, per meri scopi commerciali, che sono riusciti a interferire anche sulle gestioni dove si pratica il catch and release con la tecnica della pesca a mosca. Tutto e subito, ma più che altro che sia facilitato il ritorno alieutico determinato dal solo obiettivo della cattura, meglio da guinness dei primati in termini di numeri e di dimensioni da condividere sui social. Purtroppo anche nel fiume Nera, inevitabilmente, in uno degli ambienti più belli dove ancora la natura riesce a difendersi e mostrare il meglio di sé, questi approcci hanno rischiato di compromettere un modello virtuoso e che per quasi venti anni avevano mantenuto una gestione sostenibile.
Quali sono state le criticità generate per il fiume da questa politica di pesca ‘facile’?
Il fiume è un ecosistema dinamico che rimane efficiente solo se sono mantenuti gli equilibri naturali che l’hanno caratterizzano. Stiamo parlando di ambienti fragili, con rilevante pressione antropica e quindi con possibili rischi che se non prevenuti causerebbero problemi seri per la salute dell’ecosistema. Se si pensa solo ai pesci e alle catture e ci si discosta dalle esigenze del fiume nel suo complesso, si perdono di vista i presupposti prioritari di gestione sostenibile che dovrebbero caratterizzare un tratto dove la pesca è regolamentata in funzione del catch and release. Non si possono risolvere le criticità che possono compromettere anche il ritorno alieutico, se queste non si affrontano prima di tutto su base scientifica, cercando di comprendere le cause che le hanno generate. Ricorrere a interventi artificiali dal ritorno facile e immediato, come nel caso di immissioni di fauna ittica in risposta alla domanda dei pescatori, è solo un sistema che soddisfa nell’immediato, ma non è risolutivo. Alle problematiche esistenti non si fa che aggiungerne altre, peggiorando l’insieme. Se si forza l’ambiente acquatico con eccessiva presenza di fauna ittica e la funzionalità fluviale in quel momento non è in grado di garantire la necessaria capacità biogenica (capacità nutritiva per i pesci che in ambienti da trote è rappresentata in prevalenza dal benthos), le ricadute sulla catena trofica sono disastrose: eccessivo consumo dei produttori (macoinvertebrati) limitandone il rinnovo; competizione alimentare tra le specie ittiche; fenomeni di cannibalismo; rischio di malattie dovute alla carenza di alimentazione; maggiori rischi di morti differite per i pesci derivanti dalle eccessive catture nelle gestioni con pesca no kill. Queste, in parte, le cause che hanno contribuito al peggioramento delle condizioni generali sui tratti no kill dei fiumi Nera e Corno.
Con il ritorno di Legambiente, cosa si aspettavano i pescatori a mosca?
I pescatori a mosca, confidando sul know how gestionale di Legambiente Umbria, si aspettavano che in poco tempo si ponessero soluzioni immediate in termini di vigilanza (una delle criticità maggiormente evidenziate dai pescatori nelle precedenti gestioni che avevano alimentato il bracconaggio), ma soprattutto in termini di ripristino della popolazione di trote, sottovalutando che Legambiente è sempre stata contraria ai ripopolamenti ‘pronto pesca’, interventi, che anche volendo, viste le normative attualmente vigenti non si potevano più fare se non con trote native originarie del bacino idrografico del fiume Nera (Salmo ghigii). In risposta a questa richiesta, è per questo che Legambiente decise di procedere subito con il monitoraggio di cui abbiamo parlato per rilevare effettivamente quali fossero le condizioni generali dell’ecosistema acquatico dei tratti no kill e quindi per valutare gli interventi eventualmente da attuare.
Quale effetto hanno sortito sui pescatori a mosca le decisioni di Legambiente?
Inizialmente ci sono state molte contrarietà, che hanno portato a divisioni e contasti anche aspri all’interno delle associazioni di pesca a mosca, che non valutavano positivamente il progetto di recupero della trota mediterranea, che impediva di fatto immissioni di trote atlantiche. Prevedendo tali reazioni, abbiamo iniziato una campagna di informazione particolareggiata sul web (viste le difficoltà derivanti dalle misure Covid-19 che impedivano assembramenti e quindi incontri in presenza) e abbiamo dato la possibilità a chi avesse voluto di partecipare alle fasi operative di gestione e dei monitoraggi: un sistema che doveva da un lato sensibilizzare e dall’altro coinvolgere i pescatori per diffondere quelli che poi sarebbero stati i risultati verso i quali Legambiente nutriva estrema fiducia, in particolare riguardo al progetto Trota Mediterranea.
Perché il permesso di pesca sul no kill del Nera è così basso?
L’idea era questa: ci sono incentivi sul risparmio energetico? Sulle macchine elettriche? Perché non pensare a un riconoscimento anche sulla pesca sostenibile, premiando il pescatore che si adopera per il rispetto e la salvaguardia degli ambienti acquatici attraverso tecniche di pesca a basso impatto e con il rilascio immediato del pescato? Questo il motivo del basso costo del permesso unico giornaliero a 5 euro. Premiare e incentivare forme di pesca a basso impatto. Purtroppo non tutti hanno interpretato questo messaggio nonostante la comunicazione fatta a tal fine; il basso costo è stato interpretato dai più come una trovata fuorviante per giustificare che nel fiume non c’erano pesci, convinzione che tra l’altro è stata confutata dai risultati dei monitoraggi effettuati, ma soprattutto dagli andamenti della stagione di pesca più che positivi, in cui il sistema fiume ha dimostrato tutte le proprie potenzialità e funzionalità. Tutti coloro che hanno fruito i tratti no kill del Nera e del Corno sono rimasti più che soddisfatti nel vivere in un ambiente naturale, vivo e dinamico, unico nel suo genere.
Quindi ora, novembre 2021, come stanno le cose?
Stiamo attraversando una fase storica tanto complessa quanto importante, che se gestita con lungimiranza consentirebbe finalmente di avviare quel cambiamento ormai irrinunciabile per la valorizzazione e la conservazione degli ambienti acquatici del bacino idrografico del Nera. Questo certamente potrebbe creare ricadute positive anche sul futuro sostenibile di una pesca ricreativa più consapevole ed evoluta. Questi gli interventi più significativi:
• Nel 2016 la Regione Umbria ha riconvertito il Centro ittiogenico di Borgo Cerreto per la produzione della sola nativa del Nera (Salmo ghigii) interrompendo definitivamente la produzione di trote atlantiche. Ad oggi, in seguito a un selettivo e qualificato lavoro di recupero, il centro conta circa 1500 riproduttori di trota Salmo ghigii.
• Nel mese di giugno 2021 sono state eseguite le prime reintroduzione di trotelle da 9-12 cm e di avannotti, oltre a 400 esemplari di 3-4 anni di età che sono state introdotte in via sperimentale sul tratto no kill del Nera per valutarne le capacità di adattamento. A tal fine sono stati coinvolti i pescatori in un monitoraggio che consisteva nel segnalare le catture di questi esemplari e il luogo, sistema reso possibile dall’applicazione di elastomeri (innocui tatuaggi colorimetrici) sulla parte preoculare sinistra del pesce. Ogni colore indicava il tratto di fiume in cui sono state fatte le immissioni.
• In alcuni piccoli affluenti del Nera interdetti alla pesca sono stati immessi avannotti e trotelle. Lo scopo è quello di avviare una produzione naturale in questi modesti corsi d’acqua e il successivo recupero degli individui adulti da trasferire sui corsi principali.
• Controllo costante dei deflussi idrici a valle delle opere di presa idraulica.
• Monitoraggio sulla qualità delle acque a valle dei sistemi di depurazione civili e delle troticolture.
• Vigilanza in applicazione delle norme vigenti.
• Iniziative ed eventi con le associazioni di pescatori a mosca divulgativi e formativi sulle tematiche di gestione e di reintroduzione della trota mediterranea.
Quale sarà lo scenario della prossima stagione 2022?
I risultati di questo triennio, nonostante le enormi limitazioni derivanti dalla pandemia e da una inziale propaganda denigratoria da parte di alcune realtà di pescatori a mosca, sono stati più che positivi. Lasciare alla natura il compito di ripristinare ciò che in parte era andato perso, evitando interventi forzati, si è dimostrata una scelta vincente. Allo stato attuale la popolazione di trote si dimostra ben strutturata e quella eterogeneità evidenziatasi nei monitoraggi del 2020 si è molto appiattita; stessa condizione per la fauna macrobentonica che si è sviluppata sull’intera asta fluviale dando luogo a schiuse considerevoli. Questi risultati sono più che convincenti per proseguire con i criteri di gestione adottati in questo triennio: tutto lascia sperare in un progressivo incremento della funzionalità dell’ambiente acquatico. Particolare dedizione sarà rivolta alla comunicazione e al coinvolgimento dei pescatori nelle varie fasi di gestione, con l’intento di valorizzare e promuovere questa realtà di pesca sostenibile che da circa trenta anni ha contribuito alla promozione del territorio e all’indotto per l’economia locale della Valnerina.
Intervista del novembre 2021 a cura di