Nato a Perugia nel 1955, Luca Castellani è vissuto quasi sempre a Perugia. Ha cominciato a pescare a sei anni, con suo padre, nel 1961, con le tecniche tradizionali; di conseguenza, sono sessant’anni che va a pescare. Quest’anno sono venti anni che fa la guida di pesca: la decisione avvenne quando – è lui che lo racconta – «trovandomi vicino ai cinquant’anni fui posto davanti a un bivio. Avevamo una piccola ditta di maglieria di cashmere con un mio marchio e a inizio secolo il settore stava velocemente cambiando con le multinazionali che ti stavano sul collo e la competizione veramente stressante. C’erano dei mesi in cui potevo avere un milione di euro sul conto e il mese successivo facevo fatica a fare la spesa. Abitavo per cinque mesi l’anno fra Amburgo e Hannover perché quello era il nostro mercato più grande e bisognava investire continuamente grosse cifre in campionari, mostre, sfilate ecc. Poi una volta mi rubarono un intero campionario prima di una fiera importante. Fu il segnale che mi fece decidere: quel lavoro non lo potevo più fare. Mi chiesi: e ora che faccio? So suonare la chitarra elettrica, ma vivere con la musica a cinquant’anni non è semplice. Abbiamo una band da oltre quarant’anni e domani finiamo la registrazione del quinto album e ancora ci divertiamo…. L’altra cosa che sapevo fare era quella di pescare e siccome nei paesi anglosassoni le guide sono una professione seria che può dare da vivere, mi sono detto: perché non provare anche qua?
Come sei approdato alla Valnerina?
Il primo impatto con la Valnerina l’ho avuto a diciannove anni. Il viaggio per arrivare al fiume era un’avventura: si partiva alle due di notte per arrivare alle cinque del mattino e alle sei e mezzo, in estate, la giornata di pesca era finita. A quei tempi ero appassionato della tecnica della passata e nella provincia di Perugia in acque da trote si poteva pescare ancora con i bigattini (larva della mosca carnaria). Poco dopo iniziai a pescare a mosca. La responsabilità della scelta fu di un pesce gatto. Frequentavo spesso il Tevere nella zona di Todi e avevo una canna bolognese che mi aveva costruito Pucciarini, un artigiano che aveva un laboratorio in via dei Priori a Perugia. Ricordo che era luglio e pescavo avendo come esca una sanguisuga; a un certo punto il sughero scomparve, ferrai e cominciai a recuperare, dopo un po’ portai a riva un pesce gatto. Riposi la canna e mi chiesi quale fosse la tecnica che non mi avrebbe fatto prendere pesci gatto. Iniziai a documentarmi e mi recai al negozio di Bruno Cicognola, l’unico che aveva le prime attrezzature da mosca in città. Poi mi fu indicato un bancario, Gianni Sportolari, che mi diede qualche dritta. Sostanzialmente, però, sono stato un autodidatta. Cominciarono contemporaneamente ad apparire sulla rivista «Pescare» i primi articoli di Roberto Pragliola, Piero Lumini e Raffaele De Rosa, la cui teoria dei colori riguardo alle mosche condivido totalmente. Dopo tre mesi di tentativi presi il primo cavedano: era un pescetto di 13 centimetri e lo sentii come una gratificazione dell’atto di umiltà che avevo fatto. Con la bolognese prendevo molti pesci, con la mosca, all’inizio, fu dura.
Il Nera è un fiume stretto con argini alti con acque veloci, non è facile pescarci…
Nel 1983 feci i primi tentativi con la mosca sul Nera, un fiume difficile dove di pesci grandi anche in quegli anni ce n’erano pochi. Ero agli inizi e non facevo testo, ma c’erano pescatori bravi tipo Giampaolo Funari che era a quel tempo responsabile della catena dei negozi Mister Fish, nonché titolare della Pragliola spa. Venivano lo stesso Pragliola, Massimo Gigli e Stefano Vasetti: erano già bravi pescatori, ma prendere un pesce discreto era veramente complicato. Riporto un aneddoto. In quegli anni ci incontravamo sempre dal ristorante gestito dall’Annunziata a Sant’Anatolia di Narco e l’ultimo ad arrivare era sempre Funaro, che pescava fino a buio pesto. Una sera d’agosto arrivò e tiro fuori dal cestino una bella trota di 38 cm e tutti quanti avemmo esclamazioni di meraviglia; poi ne tirò fuori un’altra di 43 cm, che pesammo ed era di circa 800 g. Bisogna dire che allora i pesci catturati si portavano dall’Annunziata, che li conservava sott’olio o ce li cuoceva sulla piastra con dentro il tartufo. Questo per dire che di trote grandi ce n’erano poche. Quella trota fario di 800 g nei racconti dei pescatori dopo qualche mese era diventata un chilo e mezzo, l’anno successivo era già vicino ai tre chili e questo per dire che una trota di otto etti aveva fatto storia. Poi iniziammo ad andare in Slovenia, dove soprattutto sulla Sava c’erano valanghe di temoli, mentre il Soca con acque veloci e poche schiuse era più parco di pesci. A un certo punto ci chiedemmo: ma perché non fare qualcosa per i nostri fiumi? Perché venire così lontano quando ancora esistono belle acque anche da noi? Quindi, dal 1985, fra gli amici con cui si andava a pescare sul Nera – eravamo un gruppo di otto o nove persone – prendemmo la decisione di rimettere in acqua tutti i pesci che prendevamo e di contarli. Così nel 1985 abbiamo stimato che avevamo preso e rimesso in acqua circa 3000 trote. C’è da dire che qualcuna sarà stata catturata e rilasciata più di una volta, ma complessivamente veniva sempre un numero rilevante di pesci che rimanevano nel fiume. Fra tutti, solo due o tre esemplari più grossi, catturati nell’intera stagione, superavano i 30-32 cm di lunghezza. Le più grosse le prendevamo in agosto a tarda sera durante le schiuse della Oligoneuriella rhenana, la grande effimera bianca che scomparve dal fiume alla fine degli anni Ottanta. Questo per sfatare il mito delle grandi trote del Nera. Ciò non vuol dire che qualche pesce da chilo ci fosse stato e magari preso da chi pescava al tocco con il lombrico a inizio stagione, ma la maggior parte delle trote era di piccola e media taglia.
Fai un lavoro non facile e fino a poco fa nemmeno ben compreso nel nostro paese. Come sono stati i primi anni?
L’inizio non è stato facile, perché i pescatori italiani la guida non la prendevano: nel 2001 in un anno ho guadagnato 450 euro e ho portato a pesca tre clienti. Quindi ho capito che dovevo assolutamente allargare il giro e con dei risparmi ho affittato uno stand alla fiera di Somerset vicino a N.Y.C per tre anni di seguito con su scritto davanti l’insegna «Fly Fishing in Italy». Poi, riducendo il raggio, «Fly Fishing in Umbria and Tuscany». Devo dire che sono stato fortunato, perché i primi clienti che sono arrivati hanno subito scritto degli articoli su importanti riviste americane, fino ad arrivare a «Fly Fisherman» e «Fly Tiers», le più importanti, articoli nei quali si faceva il mio nome e si raccomandavano i miei servizi di guida. Quando sono arrivati i primi pescatori inglesi, ho capito che dovevo essere presente anche lì e ho partecipato con il mio piccolo stand alla fiera di Manchester, poi a quella di Parigi, dove ho conosciuto molte altre persone interessate. Tutto questo mi ha portato successivamente anche pescatori italiani. Non ho mai capito bene perché.
Evidentemente i pescatori italiani erano molto dubbiosi in principio se il gioco valesse davvero la candela e solo dopo che riviste accreditate americane e straniere hanno riconosciuto i tuoi meriti… Si sono avvicinati.
Forse sarà stato così, sta di fatto che oggi i miei clienti italiani sono circa il 30%, cosa impensabile venti anni fa. Sono stato avvantaggiato anche dal fatto che il nostro è un paese turistico, per cui un pescatore a mosca straniero in viaggio turistico in Italia un giorno o due di fly fishing se lo concede. Cosa curiosa che ho notato è che spesso di questi giorni destinati alla pesca la moglie non sa niente fino a che non è sbarcata in Italia, per cui nei loro bagagli non ci sono canne né stivali. Poi, dal momento che viene informata che il marito ha prenotato da molto tempo l’uscita di pesca, devo fornirgli tutto il materiale necessario per farlo pescare e anche una soluzione alternativa per la signora per non farli litigare in vacanza… Spesso la soluzione è che accompagniamo la moglie all’outlet di Valdichiana, da Prada o da Gucci o dove ci sono le grandi firme italiane in discount e porto il marito a pescare nella tail water del Tevere. Certi anni escono articoli su riviste australiane e l’anno dopo mi arrivano diversi australiani. Il tam tam delle riviste cartacee, là dove ci sono e sono seguite, funziona ancora.
Come mai quando nel fiume c’era ancora un forte bracconaggio di pesci nel Nera ce n’erano, mentre oggi che li rimettiamo tutti in acqua dopo averli trattati in guanti bianchi durante la cattura, di pesci ce ne sono molti meno?
Nello specifico della Valnerina, un’idea me la sono fatta. Ancora negli anni Ottanta quando pescavi nel Corno sotto l’allevamento del Biselli c’era una quantità d’acqua che il fiume non lo attraversavi da nessuna parte, oggi lo puoi attraversare passando da un sasso a un altro senza bagnarti le scarpe. Rispetto a quel periodo, mancano almeno 5-6 mc d’acqua al secondo. Con meno portata si è alzata anche la temperatura dell’acqua, che sicuramente è andata a incidere negativamente sul macrobentos e sui pesci. Poi c’è stata un’antropizzazione, poi sono scomparse molte effimere come la Oligoneuriella rhenana e anche i tricotteri sono veramente pochi, quando una volta a sera ti entravano dappertutto e gli alberi erano pieni. È tutto cibo che manca. Mettiamoci poi le tecniche di pesca che sono diventate tutte molto efficaci e il pesce viene preso e portato via là dove è permesso e comunque catturato e rilasciato molte volte nei tratti no kill. La pesca a mosca, che è più rispettosa del pesce, è anche quella che all’inizio offre maggiori difficoltà, mentre con lo spinning o le esche siliconiche anche un ragazzino può imparare presto e un torrente, se lo frequenta spesso, quasi svuotarlo con questa tecnica.
Parliamo ora del progetto di ripristino di trote autoctone nel Nera, progetto iniziato ormai da quattro anni. Cosa ne pensi?
Premetto dicendo che sono stato fin dal ’94 uno degli artefici della nascita della pesca a regolamento specifico sul Nera; negli ultimi quattro anni, con zero ripopolamenti, i pesci sono ovviamente molto diminuiti, comprese le loro taglie, per cui è diventato un fiume dove, portando i miei clienti, questi non hanno più le possibilità di catture come anni indietro. Tuttavia si tratta di un progetto complesso di lungo periodo e mi sono riservato del tempo prima di dare un giudizio definitivo. Al momento non riesco a prevedere quale possa essere il risultato finale e tuttavia spero di essere sorpreso positivamente dai risultati futuri. Il termine ‘eradicazione delle trote esistenti’ è quello che mi ha fatto maggior impressione. Non sono un tecnico e non so riconoscere una trota mediterranea da quelle che ho sempre visto sul Nera e che provenivano dal Centro ittiogenico di Borgo Cerreto gestito da dottor Natali. Ma dubito che dopo moltissimi anni di immissioni ci fossero ancora sul Nera trote fario mediterranee. Quello che posso dire è che prima che arrivasse il dottor Natali il Centro ittiogenico non lavorava così bene, a mio parere, e aveva rese molto basse nel passaggio dalle uova alla schiusa di avannotti. Allora un gruppo di noi, illegalmente, comprò delle uova fecondate dal Trentino, e con le scatole Vibert le mise nel fiume; ci costruimmo anche un mini incubatoio molto rudimentale, ottenemmo buoni risultati e cominciammo a immettere avannotti nel fiume. C’erano amici del posto che dedicavano molto tempo a questa attività. Ora si può dire tranquillamente sono tutti reati a fin di bene e comunque prescritti! Quando arrivò agli inizi dei Novanta il dott. Natali, le cose cambiarono in meglio e noi non avevamo più motivo di fare immissioni arbitrarie. Il fiume si ripopolò di una buona qualità di trote che si riproducevano allo stato naturale. Avevamo un buon rapporto con Natali e ci siamo aiutati a vicenda per far rinascere il fiume; per una ventina d’anni, fino al 2005-2006, ha avuto anche trote di grossa taglia che erano cresciute nel fiume. Gli americani che ci portavo a pescare spesso non erano bravi pescatori ma comunque catturavano trote di cinquanta e anche di sessanta centimetri e rimanevano meravigliati. Una volta, con un fly fisherman dell’Arizona con una trota di 67 cm e un’altra di 73 prese a secca con una mosca di maggio, al terzo unbelievable (‘da non credere’) ebbi una mancia extra stratosferica! Allora c’erano ancora queste mosche che una volta abbiamo ‘rubato’ al Nera insieme alla ninfe di Rhitrogena semicolorata, cercando di travasarle nella tail water del Tevere, dove questi insetti di grossa taglia non c’erano. Le ninfe di Rhitrogena morirono, ma le mosche di maggio un po’ attecchirono e ci sono ancora.
Seconde te, quindi, quali possono essere gli elementi di forza e quelli di fragilità del progetto trota mediterranea nel Nera?
Dalle caratteristiche che ho letto, questa trota è un pesce timido, che cresce poco, e quindi non adatto alla pesca come l’abbiamo concepita fino ad oggi, cioè fatta di molte catture di buona taglia. Dovremo riabituarci a poche catture di pesci più piccoli ma ‘veri’, cioè nati nel fiume. La Regione Umbria ha avuto molto coraggio a partire per prima in questo progetto, costringendo tutti i pescatori a dei sacrifici; ritengo tuttavia e mi auguro che entro qualche anno si possano vedere dei risultati. Se ci saranno, vorrà dire che siamo riusciti a dare un nuovo valore etico alla nostra attività, che sarà basata non più sulla quantità ma sulla qualità della pesca e dell’ambiente in cui la pratichiamo. La fragilità è stata nella comunicazione, nel non coinvolgere i pescatori, molti dei quali, male informati, hanno vissuto il progetto solo come sottrazione, impossibilità di continuare a pescare in un fiume in cui per anni non si facevano più immissioni, di nessun tipo e quindi il pesce era davvero scarso. Oggi penso che il peggio sia passato e che fra qualche tempo, dopo le nuove immissioni di novellame, al momento che inizieranno a riprodursi e il fiume si ripopolerà, le cose miglioreranno. Ovviamente non avremo le taglie alle quali eravamo abituati, sarà una nuova pesca che dovrà piacerci per altri aspetti che non siano solo la grandezza e il numero dei pesci. Voglio fare un’osservazione: se questa cosa fosse successa negli anni Ottanta, nessuno se ne sarebbe stupito o avrebbe protestato, perché eravamo abituati a prendere poco o niente. Il pesce più grosso che prendevamo in un anno era di trenta centimetri, mentre negli anni ricordavi le catture, che nei giorni buoni potevano essere tante e di buona taglia. Diciamo che eravamo artificialmente abituati male.
Allora bisogna dargli tempo e predisporsi alla pesca con altre sensibilità.
Sì, credo di sì. Anche il dottor Natali prima di avere risultati soddisfacenti impiegò cinque o sei anni. Poi si arrivò a una popolazione incredibile, di alta qualità, con taglie anche considerevoli.
Premesso che il termine ‘eradicazione’ delle trote atlantiche non suona tanto bene per più di un motivo, in un fiume con una portata come il Nera non è fra l’altro possibile proprio per la sua quantità d’acqua che rimane consistente. Allora, dopo aver smantellato tutto quello che era stato costruito precedentemente, si lavora per quattro o cinque anni, si spendono alcune centinaia di migliaia di euro per riprodurre una trota mediterranea per immetterla poi comunque in un fiume dove sono ancora rappresentate popolazioni di trota atlantica con cui andranno a ibridarsi. Che vuol dire: che si torna al punto di partenza?
Immettendo solo e soltanto trote mediterranee, la percentuale di purezza con il tempo aumenterà, ma, come dicevo prima, bisogna dare all’Università, che ha condotto le indagini, e a Lega Ambiente, che ha gestito il fiume negli ultimi anni, un po’ di tempo per vedere cosa succede. Io sto aspettando la prossima apertura non tanto per andare a pescare quanto per vedere il livello di riproduzione nel tratto no kill; poi, se saranno immesse trote atlantiche nei tratti ‘liberi’ del fiume. Se ci saranno immissioni significative di trote atlantiche nel Nera sia da parte della regione Umbria che Marche è chiaro che il progetto della trota mediterranea è a rischio. D’altra parte, se non semini trote i pescatori smetteranno di venire in Valnerina, con tutto quello che ne consegue. L’alternativa potrebbe essere quella di ripopolare con trote atlantiche parti del fiume Topino o del Clitunno in acque meno pregiate dove non hanno modo di ibridarsi, per cui i pescatori meno esigenti potrebbero concentrarsi lì e nel contempo non far morire l’economia che gira intorno alla pesca. L’altro pericolo può consistere nel fatto che se non diamo un’alternativa una parte dei pescatori ricominci a farti le regole da solo, un po’ come facevamo noi un tempo e questo sarebbe oggi davvero negativo. Ho sempre combattuto la ghettizzazione della pesca a mosca: la pesca è un piacere intimo e non è giusto misurare il piacere altrui in un’attività del tempo libero. Se uno si diverte con un’altra tecnica, purché non sia distruttiva… che lo faccia! Anche in Valnerina, sotto Vallo di Nera a valle da dove entra la fogna del paese potresti creare un tratto a prelievo con ticket giornaliero; intanto incominceresti a far capire alle persone che se vuoi prendere pesce lo devi pagare, cosa che i pescatori a mosca hanno sempre fatto soprattutto quando vanno all’estero. Così non crei un ghetto per i pescatori snob che usano solo la mosca secca.
Come interpreti il fatto che il permesso di pesca nel lungo tratto no kill sul Nera costi oggi solo cinque euro? Da nessuna altra parte costa così poco.
Forse il prezzo è commisurato al risultato del piacere finale della pesca, misurato nei termini a cui siamo abituati, cioè quantitativi. C’è ancora poco pesce, se ne prenderai qualcuno sarà quasi sicuramente piccolo, per cui ti faccio pagare poco, ma sei in un luogo bello, con acqua pulita e forse, un domani, anche con trote più numerose e un po’ più grandi.
Nella società di mercato ciò che costa molto poco è considerato quantomeno sospetto, vale a dire: forse non è buono, ha breve durata, la soddisfazione che ne ricaverai è poca…
Probabilmente è stato il risultato della consapevolezza che di pesce ce n’era poco e di piccola taglia. In effetti è un po’ così, tanto è vero che molti di noi quest’anno abbiamo pescato nei tratti ‘liberi’, dove erano state fatte immissioni a costo zero. Però, dall’altro lato, è anche un po’ ingiusto perché se credi nel progetto… Sul Nera, se devo essere sincero, le trote del dottor Natali ci mancano: le ho viste riprodursi che era una meraviglia. Oggi siamo di fronte a una cosa ipotetica, sperimentale, teoricamente giusta, ma ancora senza riscontro. La cosa che ci spaventa di più è la politica, nel senso che quando un assessore cambia, ci domandiamo se chi lo sostituirà sarà sempre d’accordo nel continuare il progetto in atto o ributterà tutto a monte. Queste incertezze per i progetti di lungo periodo sono devastanti.
Intervista del novembre 2021 a cura di